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Riflessioni per una ripresa etica e sostenibile

“Puntare sulla creatività, ripensare agli sprechi, ai soldi, al consumismo e agli eccessi a cui tutti, me per prima, ci siamo abbandonati”

Queste sono le recenti parole di Anna Wintour, direttrice di Vogue dal 1988, in una conversazione sul profilo Zoom di Naomi Campbell durante la quarantena. Anche ai vertici di un settore come la moda, quindi, si ricalibra la scala valoriale pensando a quello che sarà il mondo una volta finita la tempesta. Chi si occupa di comunicazione, indipendentemente dal ruolo, sa che le imprese, da anni, hanno imboccato la strada della sostenibilità e che – sempre più spesso – sentono la necessità di raccontare i traguardi raggiunti.

Ma comunicare significa anche prendere una posizione, scegliere – ad esempio – di essere virtuosi fino in fondo: la concretezza e la lungimiranza nel trattare questi temi, prima di tutto etici, sono i valori fondativi di qualsiasi messaggio da inviare verso l’esterno. Senza controllo lungo le filiere produttive o strategie di ampio respiro, le parole non hanno significato e nemmeno simboliche adesioni a momenti di sensibilizzazione come “La Giornata della Terra”.

Stare dalla parte giusta, come vedremo, è lapalissiano ma soprattutto conveniente dal punto di vista economico. Difficile, invece, è prendere sempre decisioni coerenti e raccontare la verità nella sua interezza.

Ecco i numeri relativi alla sostenibilità in Italia:

  • Le aziende italiane che adottano comportamenti sostenibili hanno una redditività superiore in media del 10%.
  • Il 66% dei consumatori italiani si dichiara disponibile a spendere di più per acquistare prodotti di Brand responsabili.
  • Il 61% degli italiani è disponibile a cambiare le proprie abitudini per ridurre l’impatto ambientale.
  • Il 76% sostiene che un’azienda dovrebbe comportarsi eticamente.
  • Il 78% dei responsabili acquisti vorrebbe investire in prodotti senza imballaggi.
  • Il 50% degli italiani crede che un’azienda dovrebbe comunicare i propri sforzi per una società più equa e sostenibile.
  • Il 70% delle aziende italiane investe nella responsabilità sociale d’impresa.
  • A livello globale, il 30% degli asset sono investimenti in RSI.

Le Nazioni Unite hanno pubblicato il Rapporto “Responsabilità condivisa, solidarietà globale: rispondere agli effetti socio economici del Covid-19”, in cui si chiede una risposta multilaterale e coordinata alla pandemia da coronavirus. Il documento, diffuso a marzo, descrive l’entità della crisi e gli effetti a catena sulla vita di milioni di persone e sull’economia reale: per affrontare le devastanti dimensioni sociali ed economiche della crisi, secondo le Nazioni unite è necessario investire almeno il 10% del Pil globale.

Facendo riferimento all’Agenda 2030 dell’ONU e ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, la strada da percorrere per uscire dall’emergenza può assumere una duplice prospettiva: da un lato vi è la possibilità di cominciare un percorso virtuoso che metta insieme le istanze economiche del post-emergenza con il progetto del Green Deal Europeo, allo scopo di accelerare la transizione verso un modello sostenibile di sviluppo; dall’altro vi è il rischio che per uscire dall’emergenza si lasci eccessiva libertà d’azione, producendo una spinta in senso contrario.

Questa è la scelta individuale cui sono chiamati gli imprenditori prescindendo e per quanto possibile anticipando le indicazioni della Politica.

Azioni concrete che le imprese possono attivare:

  • Aumentare i circuiti di collaborazione tra finanza sostenibile ed economia reale.
  • Incoraggiare l’innovazione digitale in ottica green e ridurre il digital divide.
  • Integrare il legame con il cliente da un punto di vista valoriale.
  • Considerare i propri dipendenti come ambasciatori dell’organizzazione verso gli stakeholder.
  • Favorire gli investimenti in energie rinnovabili, mobilità sostenibile ed efficienza energetica.

(Fonti: Ansa/Corriere della Sera/Wired/ Il sole 24 ore/Asvis)

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