Immaginate, ora, di trovarvi in compagnia di queste persone nell’esatto istante in cui le loro passioni si disvelano, di sentirle cantare per la prima volta durante un karaoke, scoprendo l’estensione e l’armonia di una voce inedita; di fronte alla collezione di monete vi renderete conto degli innumerevoli viaggi e delle svariate esperienze intorno al mondo per raccogliere i pezzi più rari; vi stupirete su un grigio balcone di periferia, quando sarete inebriati dal profumo di una moltitudine di fiori colorati appena sbocciati. E poi ci sono certe librerie che incutono timore, perché se una casa è piena di libri, allora è probabile che chi vi ospita abbia vissuto tante vite oltre a quella che mostra a voi.
In questi momenti rivelatori, soprattutto quando si crede di conoscere una persona, la domanda che ci si pone è soltanto una: come ho fatto a non accorgermene? In molti casi è probabile che non ci fosse nessun interesse, da parte di quella stessa persona, a rendere conto di come passa il suo tempo. Ma è altresì possibile che per vergogna, eccessiva umiltà, paura di farsi conoscere o del giudizio altrui, quell’uomo o donna si sia rifugiato nell’anonimato, seppur desiderando che gli altri potessero vedere e apprezzare i frutti del suo lavoro.
Questa problematica è comune a molte persone e, per entrare nel vivo dell’argomento che trattiamo in questo articolo, anche a molte aziende. Nel momento in cui si decide di comunicare sé stessi, si dissolve in un attimo la propria comfort zone e davanti a noi si materializza una strada in salita o, nel peggiore dei casi, un muro invalicabile. Ciò accade perché quando ci raccontiamo, forse per magia, quel pezzetto di noi che regaliamo agli altri non è più di nostra proprietà. Smette di esistere per come lo conoscevamo, ma questo non significa che abbia meno valore.
Sembra passata un’era (digitale) dacché i vari social hanno fatto irruzione nelle nostre vite. Se come individui ci abbiamo fatto il callo, accettando questa inevitabile dipendenza quotidiana, è altrettanto vero che, nello specifico, non tutte le realtà aziendali hanno saputo adeguarsi. Nei processi di rebranding, in particolare, l’ostacolo maggiore per i brand sembra essere quello di ideare una strategia social di medio-lungo termine, come se mancassero gli argomenti. Ma questo è impossibile! Dall’utilizzo quotidiano dei social abbiamo ottenuto una serie di vantaggi indiscutibili, ma il terreno si fa più scivoloso se si considera l’aspetto della reputazione che, senza ricorrere a eufemismi, terrorizza chiunque.
Cosa dire di noi, quindi, se il rischio di sbagliare è tanto elevato? Al di là delle ovvie considerazioni sulla cura dell’immagine coordinata, oltre l’aspetto grafico e le foto “instagrammabili”, senza appellarsi alla creatività più pura o far discorsi superflui sulla qualità dei contenuti, il vero segreto per un piano editoriale vincente è la verità. Anzi, la più piccola delle verità. Come Agenzia che si occupa di comunicazione è esattamente questo l’approccio che suggeriamo: dare la giusta rilevanza a ciò che accade dietro le quinte, a quegli aspetti di ciascuna professione di cui il consumatore o il partner commerciale non conoscono nulla.
Spesso noi di Verter, occupandoci della gestione di profili social aziendali, ci confrontiamo con clienti che considerano banali e noiose delle informazioni che, per chi si relaziona con l’azienda da un punto di vista esterno, sono invece importanti per consolidare un rapporto di fiducia reciproca. Queste attività celate, apparentemente insignificanti se comparate all’ecosistema aziendale in cui si inseriscono, sono bolle d’energia che compongono il mosaico di competenze di ogni professionista, alimentandone inoltre consapevolezza e autostima. Attraverso la giusta narrazione sono proprio questi tasselli a creare la figura dell’esperto, poiché aumentano la credibilità del brand.
Ricordiamoci sempre che è il singolo verso a farci innamorare di una canzone, è la storia dietro ogni singola moneta ad arricchire la collezione, è il momento della semina a determinare la crescita del fiore, è con la prima riga del romanzo che l’autore ci spinge a continuare la lettura.
Sarà certamente una frase fatta, ma sono i dettagli che fanno la differenza, perché, parafrasando Aristotele, senza il particolare, semplicemente, l’universale non sarebbe possibile.